Seleziona una pagina

1 agosto 2022

E. VITTORINI “Conversazione in Sicilia” (1941)

Si è appena concluso il derby tutto interno a casa Einaudi per lo Strega, disputato tra gli “Spatriati” di Desiati e “Niente di vero” della Raimo. Il derby ancora impazza sui blog letterari ma io non vi dirò per chi facevo il tifo e addirittura vi parlerò di una cosa completamente diversa: “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini.

Anno 1941, o giù di lì. Silvestro, trentenne di origini siciliane emigrato in Milano, “in preda ad astratti furori” decide di tornare al paese per qualche giorno. Durante il viaggio conosce alcuni personaggi che gli ricordano la miseria della Sicilia ma anche il suo bisogno di riscatto. Ritrovata la madre in un villaggio sperduto, tra i due inizia una conversazione ipnotica, un percorso quasi sciamanico che agli occhi del protagonista rievoca un’infanzia dimenticata o fraintesa.

Il rito procede in un crescendo di intimità simbolica, nelle quale i personaggi diventano modi esemplari di affrontare la crudeltà del mondo e la difficoltà di essere uomini, e culmina in tono onirico: una sorta di discesa agli inferi di Silvestro in compagnia del fratello minore.

Il tono enigmatico fu scelto dall’autore per eludere la censura fascista ma serve anche a raffigurare la dimensione universale dell’umano soffrire e dell’umana ricerca, dimensione incarnata dalla Sicilia che però, come avverte lo stesso Vittorini nella Nota finale, “è solo per avventura Sicilia.”

Lo stile è sospeso ed aspro insieme. Mai indulge alla pietà, ai facili effetti, alla nevrastenia che invece purtroppo esagita alcuni recenti romanzi “siciliani” di successo.

Nella “Conversazione” le parole sono davvero pietre, come titolò Carlo Levi, ma pietre che arrivano a librarsi nell’aria come nelle “Mille e una notte”.