Seleziona una pagina

Chiariamo subito: la qabbalàh ebraica non ha nulla a che fare con la càbala napoletana della Smorfia, il libro dei sogni utilizzato per giocare i numeri del lotto (e che prende nome da Morfeo, dio greco del sogno).

La qabbalàh ebraica sono invece gli insegnamenti esoterici volti a scandagliare i divini misteri e le sottili relazioni tra Dio e la sua Creazione.

Il campo nel quale cercare queste relazioni non è però la Creazione in sé bensì la Sacra Scrittura. Scopo unico e singolare del pensiero religioso ebraico è infatti decifrare l’opera di Dio non come si è espressa nel Mondo bensì nella Parola, perché Jahvé crea dicendo: “Dio disse ‘Sia la luce’, e la luce fu” (Gen. 1:3, corsivo nostro).

L’elemento linguistico è centrale nella religione ebraica e in tutto il pensiero ebraico, che potrebbe anche essere visto come una sorta di unica, colossale riflessione sulla Parola di Dio. Essa, in quanto tale, deve infatti comprendere tutto il possibile ma anche l’impossibile, tutto il passato e il presente e il futuro, tutto il Bene ma anche, paradossalmente, tutto il Male.

Mezzo della qabbalàh non saranno quindi fantastici voli sull’ippogrifo dell’estasi, bensì una sorta di critica testuale, o una ricerca di laboratorio, attuata ricombinando le lettere delle parole sacre, conferendo ad esse valore numerici, congetturando grafici e cosmi che inseguano il Divino Disegno come è stato consegnato, per aenigmata, nella Bibbia. Nella qabbalàh non troveremo perciò tanto l’immaginifica e vaga tensione del contemplativo quanto l’acume del giurisperito, il genio dell’espugnatore di codici segreti, l’acribia del traduttore di testi antichi, la visionaria pazienza del matematico e di ogni creatore di mondi.