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Il Grande Gioco (The Great Game, come lo chiamò Rudyard Kipling in Kim) fu quello che Russia e Gran Bretagna ingaggiarono nell’Ottocento per il controllo dell’Asia centrale. Esso coinvolse il Caucaso, l’Iran, l’Afghanistan, l’Uzbekistan, vedendo la Russia zarista correre sulle steppe verso sud (forse a conquistare l’India in mano inglese) e la Gran Bretagna inerpicarsi sull’Hindu Kush afghano (forse per fermare i Russi).

Hopkirk ripercorre magistralmente le vicende, i paesaggi e i protagonisti del Grande Gioco: ufficiali inglesi lasciati a marcire da crudeli khan in fosse piene di scorpioni e poi decapitati; esploratori indiani travestiti che tracciavano mappe militari per conto del National Geographic inglese; bazar carovanieri sulla Via della Seta; figure di finti religiosi, interpreti, esploratori, finti mercanti, signori della guerra, spie, geografi, archeologi, in genere combinati insieme senza precise distinzioni; gentleman inglesi che pasteggiavano a vodka con gli ufficiali russi sotto una tenda nella steppa; generali russi massacratori di turkmeni; poderose fortezze di fango afghane; colonne di civili e militari inglesi sterminate dagli Afghani sul Khyber Pass. Questo, ed altro, si agita nel libro di Hopkirk, uno dei pochi libri di viaggio attuali che uniscano la storia alla geografia e il significato alla descrizione.

I veri scopi del Grande Gioco non sono stati ancora del tutto chiariti dalla storiografia. In compenso possiamo dire senza dubbio che il Grande Gioco è ricominciato. La fine dei Sovieti-stan dopo il crollo dell’URSS, l’assedio economico-militare cui è sottoposto l’Iran e l’attentato alle Torri gemelle lo hanno riaperto. L’attuale paura del Russo che attanaglia giornalisti compiacenti e diplomazie occidentali fintamente ingenue ne fa parte. È come una ferita nel cuore dell’Eurasia, nel cuore del mondo; e non sembra destinata a richiudersi tanto presto.