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Trieste-Vienna in bicicletta, per esempio. Oppure Berlino-Istanbul in treno, come un novello Orient Express sul quale l’unico cadavere è la cultura europea, uccisa da localismi, estremismi, sovranismi. I mostri “ismi”. Poi, lungo il Danubio su una chiatta, da Gorizia al Salento in automobile, il Nordest ancora in bici. Il tutto in un libretto straordinario per capacità d’illuminazione e nettezza di stile.

Se è vero che “il mezzo è il messaggio”, come diceva McLuhan, il mezzo (di trasporto) è il paesaggio. Sia quello fisico che quello umano. In bici o su una chiatta, si è al riparo dal fasullo story-telling dei reporter ufficiali, quelli che i luoghi e le persone, e persino le guerre, le vedono solo dall’alto del piano ristorante di un hotel cinque stelle, magari sorseggiando un gin tonic. Rumiz, invece, come Terzani, appartiene ai veri giornalisti, che per fortuna esistono ancora, anche se ormai (almeno in Italia) andrebbero protetti dal WWF.

In alcuni punti il libro ricorda inevitabilmente Danubio di Magris, ma con un more di vissuto e un less di cultura che ce lo fa sentire bruciante e nostro. È questa la sensazione del lettore quando, per esempio, Rumiz insegue il fascino residuo di un Oriente che ormai si è trasformato in un semplice punto cardinale, l’Est. La stessa sensazione di vivida presenza proviamo quando dalla moderna, frenetica Istanbul la chiamata alla preghiera del muezzin affiora come un’eco preistorica, oppure quando una signora rumena di buona famiglia mostra la sua bella casa piena di libri, che la democrazia le ha restituito da poco ma che tra poco il mercato la costringerà a rivendere. E così la malinconia non manca in questo libro, una malinconia che si annida anche in luoghi inaspettati, come in qualche industrialotto di Treviso, nei cui occhi dietro i Ray-Ban la globalizzazione ha messo la paura della miseria, la stessa dei loro padri contadini.

Insomma, un piccolo libro epico.