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Edmondo De Amicis, prima di dedicarsi all’educazione civica col libro Cuore, che tutti chiamiamo sempre così, chissà perchè, come se il titolo fosse Libro Cuore, Edmondo De Amicis, dicevamo, aveva lavorato come giornalista all’estero.

All’epoca Edmondo non aveva ancora trent’anni, ma già la sua penna si muoveva sicura in stile manzoniano, fiorentino e facile. I suoi, dalla Spagna, da Londra, da Parigi, dall’Olanda e dal Marocco e da Costantinopoli, erano reportages pieni di aneddoti e bozzetti e descrizioni, a beneficio della figura di viaggiatore allora emergente: il turista. Colto, borghese, di buona famiglia, ma ormai turista, inguaribilmente. Non più un pellegrino o un mercante, non un geografo o un soldato, non un profugo né un infuocato predicatore di nuove religioni, bensì, appunto, soltanto un turista.

Cosa fosse un turista a fine Ottocento lo sappiamo bene: un viaggiatore per puro diletto e curiosità, affascinato dall’esotico e pure afflitto da una certa pruderie, sentimentale ma non impegnato, ciarliero, e un po’ sempre annoiato. Un nomade part time, che viaggiava come altri si recavano al cinema, altra grande novità all’epoca nel mondo dell’intrattenimento.

Alla specie del turista, oggi più diffusa che mai, sono dedicati i travelogues di De Amicis, e Costantinopoli in particolare, un libro del 1878 che però parla ancora con voce affabile e familiare a noi turisti del XXI secolo.

Nel libro convergono numerosi stimoli, sia artistici che letterari. Molto vi giocano, per esempio, le patinate seduzioni di un pittore malizioso come J. L. Gêrome (e proprio con un suo allievo, il pittore Enrico Junck, De Amicis aveva visitato la capitale turca). Misurare col bilancino da quale sacco provengano le numerose farine di Costantinopoli sarebbe però impossibile, e avrebbe forse poco senso, visto che il risultato finale è stato definito persino da Pamuk “il miglior libro” sulla capitale turca.