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7 agosto 2022

P. CITATI “La mente colorata”, Mondadori 2002 (poi Adelphi 2018)
Di Pietro Citati, recentemente scomparso, bisognerebbe leggere tutto. Saggista che scrive come un romanziere, o viceversa, in lui, cavallo di razza, forse estinta, il pensiero traveste le emozioni, la citazione dotta fa risuonare archetipi ancestrali, la forma guida il sentimento fino alla perfezione espressa.

In Pietro Citati, come in Kundera, Proust e pochi altri, una sapiente alchimia genera, per dirla proprio con Proust, “uno sfumato, una specie di unità trasparente dove tutte le cose, perdendo il loro aspetto di cose, sono venute a disporsi le une accanto alle altre in una specie di ordine, penetrate dalla stessa luce, viste le une nelle altre, senza una sola parola che resti al di fuori” (lettera a Anna de Noailles, 1904).

Ma veniamo all’Odissea di Citati.

Se l’Iliade è il poema degli dèi e degli eroi, l’Odissea è il poema degli uomini. Soprattutto di un uomo, Ulisse: predone, bugiardo, vendicativo ma anche curioso, sconfitto, ragionatore. Ulisse piange, spera, perde tempo, inganna, è un vagabondo, un artigiano, un fingitore.

Per questo è il prototipo di tanti anti-eroi della letteratura occidentale. Ma nell’Odissea non c’è solo Ulisse: i canti dedicati a Telemaco sono il primo romanzo di formazione, Calipso incarna tutti i successivi amori stregati, le tecniche narrative dell’Odissea (intreccio, flashback, simultaneità e molte altre) sono un manuale di “scrittura creativa” migliore di molti altri.

L’Odissea è talmente moderna che non ha neanche una fine. Nel libro non si realizza infatti del tutto la profezia di Tiresia, secondo la quale dopo la strage dei Proci Ulisse dovrà nuovamente rimettersi in mare per avere pace.

Dante, il modernissimo Dante, sarà lui a concludere il racconto.