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Nella “Sala dei tori” a Lascaux sono in realtà raffigurati quattro esemplari di un nobile bovino estinto, l’Uro.

Giulio Cesare fece in tempo a vederli in Gallia e così li descrive: “Sono poco più piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per aspetto, colore e forma. Sono molto forti, estremamente veloci, non risparmiano né uomini né animali” (G. CESARE, De bello gallico, 6, 28).

L’Uro cominciò a estinguersi nel medioevo ma sopravvisse per qualche secolo nelle zone più ritirate d’Europa, come la Bucovina, nel nord della Romania. Il diritto a cacciarlo rimase prerogativa dei nobili e soprattutto dei re: in Persia gli shah cacciavano i leoni e in Romania gli Uri.

L’animale era così splendido e illustre che entrò nel vessillo di un principe bucovino, Stefano il Grande, e compare ancora oggi sullo stemma della regione. Io lo scoprii per la prima volta in strada, raffigurato su un tombino. L’incontro fu commovente. Sono convinto che intrufolarsi nello stemma della Bucovina sia stato il modo scelto dall’indomito animale per diventare immortale.